Quando parlano abbassano la voce
Viaggio di condivisione del 2017
Paesaggi immensi, lunghe distese di altipiani, cielo dai mille colori, stelle fino all’inverosimile.
Vegetazione della stagione asciutta: dal verde degli abeti di montagna, alle molteplici sfumature di giallo dell’erba della savana. Alberi bellissimi ed altissimi: dai baobab ai mango, enormi ed eleganti.
La strada da Dar Es Salaam corre per più di mille chilometri in bus, dove all’incrocio di Songea si svolta verso Mkongo; per un’ora e mezza percorriamo ancora una strada per metà sterrata, piuttosto accidentata.
Un cucuzzolo con un bellissimo panorama sul monte Mkongo, ed ecco la parrocchia di Mkongo: una chiesa con accanto una piccola porta con ingresso, l’ufficio del parroco (Baba EriK, che ci è venuto a prendere all’aeroporto e ci ha accompagnato per tutto il viaggio), la cucina, un corridoio con diverse camere, la sala da pranzo/ricevimento.
Accanto alla cucina troviamo un piccolo cortile con legna, galline, pulcini, due piccoli cani e un gatto nero; un cancelletto di legno per passare in un grande cortile con fiori ed una fontana con rubinetto asciutto.
Sul retro si trovano le stanze delle studentesse, il refettorio, la cucina affacciate alle aule della scuola professionale, in fondo i bagni. Oltre il cancello, comincia a prendere forma il laboratorio di falegnameria.
È qui che ho avuto la fortuna di trascorrere un paio di settimane grazie all’associazione Neema.
Erano anni che avevo il desiderio di fare un’esperienza di volontariato in un paese bisognoso, ma principalmente ero io che ne avevo bisogno, anche se non ho fatto volontariato concreto, niente di pratico, come volevo. Ho ricevuto tanto, non ho dato, ma ho soddisfatto l’interiorità del mio cuore.
Le emozioni sono state tante ed intense: prima negative, causa adattamento igienico, poi bellissime.
Mi sembrava di essere preparata, invece è tutto quello che non si riesce ad immaginare: gli occhi, la polvere, lo sporco di quegli splendidi bambini che ti guardano stupiti, ti vengono dietro, ti danno la mano, senza lasciarti fino a che non li saluti e insisti per farli tornare alle loro capanne di paglia, di legno o di mattoni; le donne con i loro kitenge coloratissimi che sedute per terra si fanno quelle splendide treccine in quei capelli neri e riccioli e tornano dal campo con in testa un grosso fascio di legna da ardere per cuocere un po’ di ugali (polenta) per i loro numerosi figli; le ragazze e i bambini, che tornano da scuola facendo molti chilometri a piedi, spesso scalzi, dalla pelle forte, portano secchi d’acqua verso la loro capanna, che ti salutano sorridendo con un “jambo”; i bambini che tengono in braccio i loro fratellini ancora più piccoli.
Hanno artigianali biciclette di legno, e giocano con palle fatte con le foglie di banana, bellissime. Quei saluti, quegli inchini delle donne anziane davanti alla chiesa, che ti mettono in imbarazzo da quanto sono riverenti, riconoscenti, sono stupendi, ti riempiono l’anima.
Le ragazze, che con grande equilibrio e fatica, ci portano secchi di acqua sopra ad una stoffa avvolta sulla testa per permetterci di lavarci, mi hanno fatto venire un bel senso di colpa, ma non ti permettono di farlo da sola! Quando parlano, abbassano la voce e ti danno continuamente il benvenuto.
Come ci sono rimasta male quando in strada, avvicinandomi a dei ragazzetti in bicicletta, il fratellino di uno di questi si è messo a piangere! Certo ero una mzungu (bianca), come ci chiamano nella loro lingua, lo swahili.
Il percorso di questo popolo è lento e complicato: sono passati all’improvviso dal niente, ai telefonini. Oggi hanno moto assordanti ed anche auto, anche se malridotte. Ma le scuole del governo, anche se sono presenti nei villaggi, non sono ancora in buone condizioni.
L’istruzione e la salute devono essere un diritto, non una fortuna.
Può apparire un luogo comune, ma queste persone ci fanno capire quanto noi occidentali non solo sprechiamo cibo, acqua e tanto altro, ma non riflettiamo mai abbastanza su quanto l’ingiustizia regni in questo pianeta. Come può l’uomo essere così crudele? È giusto un mondo dove prima di tutto conta la ricchezza? Ci siamo dimenticati dell’uomo.
Gli africani nella loro povertà, ci insegnano che possiamo essere ancora umani.
Asante sana!
Alessandra