Ti porto in Tanzania

Ti porto in Tanzania

Domenica 17 dicembre a San Giovanni Valdarno, ha avuto luogo l’incontro organizzato da Neema allo scopo raccogliere fondi a favore di progetti da realizzare in Tanzania.

Durante l’incontro sono state raccontate le storie che i volontari di Neema riportano dopo il loro viaggio in terra d’Africa, testimonianze di condivisione con persone e luoghi così lontani dalla nostra cultura dalle quali c’è tanto da imparare, testimonianze riportate anche attraverso immagini che portano in se volti ed emozioni che resteranno immortalate nei cuori di chi le ha vissute ma, siamo sicuri, anche nei cuori di chi osserva.

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato.




Baba Erik: un uomo, un sacerdote, un amico

Baba Erik: un uomo, un sacerdote, un amico

Tanzania – Luglio 2000

Quel pomeriggio entrammo con il fuoristrada nel giardino della canonica della Parrocchia di Mkongo, dove il Vescovo di Songea ci aveva inviati. Appena entrati vedemmo un giovane uomo in piedi e con le mani in tasca; camicia rossa, pantaloni blu ci guardava perplesso ma sorridente. Era Padre Erik, sacerdote da appena quattro anni. Ci accolse con gentilezza e disponibilità come ha continuato a fare per tutti gli anni a venire sempre pronto ad ascoltarci con infinita pazienza per soddisfare ogni nostro bisogno.
Da quel giorno Padre Erik, o meglio, Baba Erik è diventato nel tempo, non solo un amico di tutti i componenti di Neema, ma un sacerdote straordinario, amato da tutti i suoi parrocchiani per i quali ha sempre una parola di gentilezza e di conforto. Chiunque abbia una necessità importante, sia essa spirituale o pratica, è certo che rivolgendosi a lui avrà buone possibilità di soddisfarla. Baba erik, con il suo carattere mansueto ma allo stesso tempo deciso, autorevole ma mai autoritario è diventato un punto di riferimento fondamentale per gli abitanti del villaggio, anche grazie all’esempio di rettitudine che sempre manifesta.
Baba Erik è da sempre il nostro tramite con la popolazione locale per la realizzazione dei nostri progetti. Grazie a questa non trascurabile mansione è diventato abile in fatto di contabilità, falegnameria, muratura, sebbene faccia riferimento a persone esperte nei vari settori e, soprattutto persone fidate. Cointestatario del conto corrente bancario dove inviamo i nostri contributi, preciso e corretto nel ricevere e nel pagare. La sua rendicontazione economica nei confronti dell’Associazione è ineccepibile.
Baba Erik, a Mkongo, ha sempre vissuto giornate pesanti poiché non si risparmia mai per nessuno: che ci sia da andare a trovare un ammalato o da benedire una croce in un altro villaggio; da comprare la carne per i suoi ragazzi della scuola VETA o da preparare due fidanzati per il matrimonio oppure da portare un defunto dall’obitorio dalla città al villaggio, o ancora da condurre la sua auto per un matrimonio mussulmano. Il tutto percorrendo strade polverose e fangose tra un villaggio e l’altro.
La sera si addormenta stanco sul suo piatto di ugali, la polenta di mais e, nel bel mezzo del sonno arriva sempre qualcuno a chiedere un consiglio.
Non si arrabbia mai se davanti a lui vede onestà, rettitudine e rispetto.

Il vero MISSIONARIO, è LUI! Tant’è che Don Bonifacio lo ha definito “un uomo angelico”.

Nel Gennaio di quest’anno Baba Erik è stato trasferito a Wino, un villaggio a 250 km da Mkongo. Il rapporto con lui è più forte che mai ma, almeno per il momento, siamo privi di un punto di riferimento in loco. Forse dal punto di vista di un occidentale la distanza può sembrare relativa, ma bisogna considerare che 250 km in Africa, in termini di viaggio, equivalgono a  2500 in Italia.
Vogliamo sperare che non incontreremo nessun ostacolo con il nuovo Parroco, sebbene il vero problema si presenta con la lingua considerando che Baba Erik parla italiano e noi non parliamo swahili. Siamo comunque fiduciosi perchè, anche in assenza di Baba Erik, con la gente del posto siamo sempre riusciti a comunicare. A gesti, con i sorrisi, spesso da anima ad anima in un linguaggio universale.
Ci aspetta dunque un problema da affrontare a breve recandoci sul posto per appurare la situazione e prendere accordi con il nuovo Parroco di Mkongo.
Nel frattempo auguriamo al nostro Baba Erik di essere accolto a Wino con lo stesso amore con il quale lui ha accolto noi.

Storia di un incontro

Storia di un incontro

15 agosto 2007. Montevarchi

In quegli anni la nostra sede legale era la parrocchia della Ginestra. Fu inviato lì come vice parroco, dalla Diocesi di Arezzo, Don Bonifacio Lukena, proveniente dal Congo per studiare Teologia. Egli cominciò ad interessarsi alle nostre iniziative di volontari come cooperazione con la Tanzania. Per un certo tempo fu l’assistente spirituale di Neema. Ci parlava del suo Paese e di come le persone avessero subito una guerra ingiusta e devastante. di quanto rimpiangessero il periodo coloniale dove almeno era garantita a tutti l’istruzione minima gratuita, sorgevano qualificate scuole secondarie e sussisteva una sanità di base per tutti. Ora il Paese era devastato.
Don Bonifacio suscitò la nostra curiosità e colpì il cuore di noi volontari nel punto più vulnerabile: il desiderio di aiutare dei fratelli. Così nel 2008 partimmo alla volta del Congo, autorizzati dal suo vescovo e suoi ospiti approdammo a Kirungu, Paese di origine di Bonifacio nonché sede della diocesi. Il viaggio era stato ben pianificato dal nostro accompagnatore e dai suoi amici locali. L’accoglienza che ci fu rivolta fu stupenda da parte di tutti. Don Bonifacio ci portò a conoscere la sua famiglia. In Africa, si sa, l’ospitalità è sacra, ma lì, in quella casa dove tutto era stato fatto perché di sentissimo a casa nostra, provammo la sensazione di essere qualcosa di più di normali ospiti, come dei figli adottivi, ai quali Francesco e Agnette (i genitori) offrivano tutto ciò che avevano. Quel viaggio di segnò fortemente. Ad esso ne sono susseguiti molti altri, dettati dalle necessità organizzative dei progetti svolti e dal desiderio di incontrarsi nuovamente con le persone del luogo.
Nel frattempo Don Bonifacio veniva trasferito dalla Ginestra alla Penna e successivamente a Santa Firmina (Arezzo). Egli continuava la sua collaborazione con Neema facendosi interlocutore tra l’associazione e i referenti congolesi. Morì uno dei suoi fratelli ed egli decise di adottare i due figli maschi provvedendo al loro sostentamento e alla loro educazione. Con grandi sacrifici ha potuto costruire una casetta in muratura per i suoi genitori contribuendo al loro reinserimento nel Paese dopo l’esperienza del campo profughi in Zambia.
Passando da una parrocchia all’altra ha lasciato il rimpianto e il ricordo di un pastore, sempre pronto ad ascoltare e consigliare, di un prete che trova sempre il tempo per gli altri, che non antepone mai il suo “ho da fare” con i bisogni dell’altro, di un sacerdote che quando ti saluta è per incontrarti, perché il suo saluto non è mai frettoloso e sfuggente, ma sempre caloroso e disponibile. Piano piano sempre con lo sguardo alla parrocchia a lui affidata, ha conseguito la Laurea in dottorato in dottorato di Teologia all’Università di Firenze con il massimo dei voti.
Ora è arrivato il tempo del suo rientro in Congo. Questo era prevedibile, ma ciò che non era programmato era la partenza immediata alla quale è stato invitato. Se la Curia gli avesse dato il modo di spiegarsi, avrebbe capito che ciò non era possibile: egli ha contratto un prestito bancario per sostenere le spese universitarie del nipote e per pubblicare la sua tesi di laurea (pubblicazione necessaria per conseguire l’attestato essendo una università privata), inoltre organizzare la spedizione di oltre tre metri cubi ci libri per il Congo, suo prezioso tesoro necessario all’insegnamento al quale dovrebbe essere destinato, non è cosa da poco. Ne consegue l’impossibilità di una partenza subitanea.
Ora Bonifacio è senza parrocchia, senza stipendio, senza casa. ma non vive di carità, vive per l’amore del suo ministero e dell’amore che ha seminato e che adesso raccoglie attraverso molti amici

Patrizia

Quanto riportato sopra accadeva durante l’estate scorsa; Boniface è partito il 4 Febbraio scorso alla volta del Congo facendo tappa in Tanzania dove ha recuperato tutto ciò che dall’Italia, per motivi burocratici, era stato spedito in Tanzania.
Accolto da Baba Erik si è poi diretto verso casa, nella sua Kirungu in Congo.
Noi di Neema lo abbiamo salutato il 1° Febbraio consapevoli che quello non era certo un addio ma un arrivederci.
Arricchiti da questi anni di vicinanza e di collaborazione diretta, non ci resta che augurare a Don Bonifacio una buona vita, certi del fatto che a Kirungu svolgerà un ottimo lavoro e che porterà dei miglioramenti importanti; la nostra collaborazione continuerà a distanza.

Ciao Bonifacio, ci vediamo a casa.

Francesca

Francesca

I primi giorni in Tanzania sono stati per me uno schiaffo dopo l’altro

Viaggio di condivisione del 2018

È difficile mettere nero su bianco quella che per me è stata una delle più travolgenti esperienze mai fatte, ma credo sia egoistico e anche ingiusto tenere solo per me quello che questo piccolo angolo di mondo mi ha regalato. Quindi provo, anche se le mie parole non saranno tanto all’altezza, a raccontare Mkongo.
Anche se ho solo venti anni, era da un po’ che mi incuriosiva la realtà missionaria; non per la pretesa di cambiare il mondo, ma per il semplice desiderio di avere nuovi occhi con i quali affrontare il mio quotidiano.
I primi giorni in Tanzania sono stati per me uno schiaffo dopo l’altro. Come si può rimanere indifferenti a questa povertà? Vedi quelli che sono i tre “nemici” che Nyerere, il fautore dell’indipendenza tanzaniana, diceva di dover combattere: l’ignoranza, la malattia e la povertà. Già in Italia sapevo di essere nata dalla parte fortunata della terra, ma viverlo ti porta ad una consapevolezza diversa e, soprattutto, a prenderti delle responsabilità.
Quanto poco ha questa gente, ma quante cose ti regala! Ho riscoperto il vero valore di comunità. Il mettere al primo posto il NOI rispetto al mio solito io. Ho incontrato persone che testimoniano con la loro vita il più sacro dei comandamenti: l’amore.
Come Baba Erik, parroco del villaggio, che pensa prima alla persona che al cristiano e che incarna pienamente la figura del pastore. O Renata, preside della scuola professionale “Veta” di Mkongo, che dedica la sua vita ai giovani, con la premura e la dolcezza di una mamma. E più importante, ho trovato degli amici. Come le ragazze della scuola Veta, con cui abbiamo passato gran parte del nostro tempo e che ora abitano un pezzettino del mio cuore.
Condivido il pensiero di Neema circa il modo di gestire i progetti in Tanzania. Di non comportarsi da colonialisti, andando a Mkongo e costruendo autonomamente quello che si crede più opportuno, ma di camminare insieme a questo popolo, di aspettare le loro richieste e di spronarli a metterci del loro. Di sentire loro i progetti e, insieme, di provare a migliorare il villaggio.
Tornata  in Italia ho capito che la mia missione è qui: è qui che devo raccontare quello che ho visto e cercare, nel mio piccolo, di cambiare questo presente. Ed è qui che devo essere testimonianza dei valori che ho riscoperto da questo popolo. Non mi dimenticherò questa terra rossa, non rimarrò indifferente all’odio per il diverso che si sta diffondendo nel nostro paese; perché in Tanzania ero io la straniera e sono stata accolta. Ed anche se di motivi per avercela con noi bianchi ce ne sono anche troppi, mi sono sentita prendere per mano e travolgere da un amore immenso.
Ero straniero e mi avete accolto.

Francesca

Irene

Irene

L’Africa è un po’ così: come il ciclone, che parte, prende e ti porta via

Viaggio di condivisione del 2018

Difficile dire cosa sia stata per me l’Africa.
Quando ti chiedono di raccontare o non dici nulla o parti e racconti tutto.
Perché l’Africa è un po’ così: come un ciclone, che parte, prende e ti porta via. Volendo però concentrare in poche righe la mia esperienza, cercherò di far emergere le sensazioni e le emozioni che vengono a galla dal mio cuore.
Ti ritrovi con i piedi in quella terra rossa, circondata da bambini che ti prendono per mano e ragazzi che ti guardano negli occhi. La terra rossa penso sia espressione di quel continente, dove ogni fatto, ogni relazione che instauri con le altre persone si fa, non so per quale motivo preciso, più intensa, più autentica, più toccante. Ti ritrovi con un bambino per dito e quel dito te lo tengono come se fosse per loro la cosa più preziosa, qualcosa da curare, da custodire, che certo non capita loro tutti i giorni. Mi ricordo le parole di Patrizia che un giorno ha detto:- Questi bambini si divertono con nulla-. Ed è proprio vero: per farli ridere basta un po’ di solletico sulla pancia o far provare loro il volo volo.
E poi i ragazzi che ti guardano negli occhi. Che espressione di vita intensa, consapevole che ti fanno sperimentare. Specie se sei adolescente come loro e riconosci quel grido alla vita che si sprigiona da dentro. Riconosci i loro desideri, i loro bisogni irrefrenabili, la voglia di fare e di tessere legami, la quale con forza immane spinge da dentro per emergere.
Grazie Africa per avermi fatto capire ciò che se fossi stata a casa mi sarebbe stato difficile: per avermi fatto comprendere come si affronta la diversità e poco dopo ci si accorge che è enorme ricchezza, per avermi reso grata per l’immensità di piccole cose eppure preziose che abbiamo la possibilità di avere, per avermi reso pienamente consapevole che con la voglia di fare puoi veramente fare della tua vita quello che vuoi.
Penso che resterà sempre una piccola parte di me che quando ce ne sarà bisogno mi indirizzerà ancora verso quella grande parte del mondo ridimensionando automaticamente e arricchendo inconsapevolmente quello che vivo ogni giorno qua.

Asante

Irene